Caserta. “Attraverso i miei avvocati ho lanciato un appello al ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Non cerco nulla, la verità già si sa. Vorrei solo la definizione di questo processo affinchè sia da monito per i tanti giovani perbene, ma soprattutto per coloro che usano violenza, in modo che sappiano che la giustizia esiste e che non sempre la faranno franca”.
A parlare è Amalia Iorio, la madre di Emanuele di Caterino, ucciso a 14 anni ad Aversa il 7 aprile del 2013. Emanuele fu ucciso a coltellate da un altro giovane mentre era intervenuto per sedare una lite.
Amalia aspetta una sentenza definitiva da 13 anni. Dopo una serie di rinvii della Corte di Cassazione, domani dovrebbe tenersi una udienza in Corte di Appello a Napoli. Il procedimento incardinato nuovamente davanti alla Corte di Appello del tribunale dei minori di Napoli, dopo il rinvio della Cassazione, non riesce a celebrarsi in quanto il presidente del Tribunale per i minorenni di Napoli non riesce a comporre il collegio con giudici che non abbiano già, in qualche modo, espresso parere o che siano intervenuti sulla vicenda.
“La prima condanna emessa dal Tribunale dei Minori di Napoli per l’assassino di mio figlio – spiega la madre di Emanuele – fu annullata per un errore nel procedimento. Ora, temo che questo lungo calvario giudiziario possa ancora prolungarsi. Sono delusa e amareggiata, ma continuo a lottare affinchè anche altri genitori che hanno perso un figlio per mano di altri ottengano giustizia in tempi ragionevoli”.
Alla domanda su cosa chiede al ministro Nordio, Amalia e’ chiara: “intervenire immediatamente per rendere possibile la celebrazione del procedimento, a prescindere dalla responsabilità reale o presunta dell’imputato. E’ giusto che mi si conceda la possibilità di piangere mio figlio, sapendo che chi ha ucciso sia stato giudicato”.
Il cruccio di Amalia è proprio questo: lasciare finalmente riposare Emanuele e non sentire piu’ il suo nome pronunciato nelle aule di tribunali tra Roma e Napoli. “Emanuele è stato accoltellato alle spalle – racconta – con quel litigio non c’entrava nulla. Stava solo soccorrendo un altro ragazzo che era stato accoltellato prima. Vorrei porre fine a un calvario che dura da 13 anni.
Vorrei che i fratelli di Emanuele, i suoi amici piu’ cari, i tanti bravi ragazzi di questa terra, possano credere nella giustizia. Ma soprattutto, mettere la parola fine a questo processo farebbe capire a chi ancora si ostina ad usare violenza, ad ammazzare per nulla, che nessuno resta impunito dinanzi a un crimine. Il ritardo della giustizia determina un senso di impunità pericoloso”. A processo c’è un unico imputato, all’epoca dei fatti 16enne.
